30 dicembre 2007

Il coraggio della normalità

Alzerò il calice agli operai, sopravvissuti alla decimazione, che possano tornare a casa la sera dalle loro mogli e gioire della loro vita pulita e straordinaria che fiorisce oltre la fatica e l'usura.
Il mio brindisi è per tutti gli uomini di buona volontà che pagano le tasse, che si impegnano nel nascondimento con azioni giuste, nel rispetto dell'altro e con un grande senso civico e comunitario...uomini ordinari che magari non vanno a messa la domenica e non comprendono come le religioni possano devastare così tanto la convivenza civile!
Infine un brindisi a me che non mi arrendo alla tristezza e intendo dare al giorno un volto nuovo, ogni mattina. L'Angela di ieri va a letto la sera e alla fine del giorno non sarà più la stessa: la donna che si mette in viaggio e farà ritorno, direbbe la Singer, sarà un'altra. Così mi preparo per crescere e acquisire più consapevolezza nelle ore che verranno. La storia richiede molta vigilanza e la tentazione di rinchiudersi nella conchiglia vuota dell'anima è sempre alle porte...ma devo resistere, resisterò, perchè la mia famiglia, la mia gente, questa terra hanno bisogno della mia normalità, del mio coraggio di esistere per ciò che sono con la testa libera e il cuore aperto per accogliere l'infinitesimale.

18 dicembre 2007

Fiction

Speciale è una vittima.
Berlusconi è una vittima.
Moggi è una vittima.
Saccà è una vittima.
Vorrei chiedere due minuti di silenzio per le vittime del Comunismo.
Ho tuttavia una domanda da fare: come mai in questo paese di "cose rosse" nascoste tra magistrati e politici anti-evasione fiscale, le vittime riescono sempre a restare ricche e contente, la magistratura rossa riesce sempre a offrire a tali personaggi l'escamotage per non perdere libertà, potere, denaro? E perchè i politici avversari delle vittime sono così avversi da agire con una tale cautela e lentezza da favorire un'andatura veloce e scaltra alle suddette vittime e assicurare loro successo e stabilità, pure nell'ombra?
Allora per favore, comunisti, prendetevela anche con me. Forse potrei cominciare ad avere un pò di fortuna!

15 dicembre 2007

Infelicitade

Siamo pubblicamente e autorevolmente chiamati alla consapevolezza della nostra storia.
Il New York Times non fa che dire ad alta voce quello che migliaia di blogger e gente chiusa nelle case sospira da tempo: la depressione ci attanaglia il cuore.
Badate bene, la coscienza si è risvegliata non appena a rimetterci sono state le nostre tasche; finchè i soliti ladri e i soliti delinquenti armeggiavano intorno alle casse dello Stato e negli affari nazionali rapinando questo paese delle sue ricchezze, della dignità e del futuro, ma il nostro shopping natalizio era soddisfacente, fintanto che le televisioni ci intrattenevano di sera senza chiederci troppo impegno, come a scuola o in ufficio, mentre invece infiltravano nell'immagine e nella mente "un'idea del nulla" per assopire i cervelli e l'anima, abbiamo girato lo sguardo dentro il nostro cerchio e operato per salvare la propria sfera.
Ora le sfere urtano, si sfregano, qualcuna si incrina e qualcun'altra esplode: è il maremoto, per noi abituati a galleggiare verso l'abisso in placida resa e totale leggerezza, un evento epocale e drammatico.
Ora lo sguardo-dentro diventa interrogativo pieno di angoscia: il cerchio non è che una stanza chiusa, claustrofobica. Qualcuno si sbrana all'interno e lo colora di sangue: l'autoeliminazione o l'aggressione cannibalesca a chi più amiamo, sembra un urlo di bestia in chi non si riconosce più uomo.
La sofferenza e il dolore si addensano sulla parete della sfera: il pianto giunge dalle fabbriche di Torino, come dalle strade dell'Iraq.
In polvere le illusioni che la felicità sia un 'isola lontana, con le palme: lì ci troveremo invece gli industriali e i finanzieri e i petrolieri che ci hanno mangiato il presente e il futuro e reso lontano e incomprensibile il passato.
Alle sfere incrinate, giungono voci di materia decomposta: gli uomini della menzogna che raccontano favole di conquiste interstellari e di benessere universale se gli dai il voto ovvero la coscienza ovvero l'ultimo anelito di respiro che resta. Hanno "il sole in tasca": appunto, ad avvicinarsi c'è il rischio di liquefazione. Loro succhiano dalla sfera degli altri l'ossigeno vitale: quanti milioni di italiani sono ormai baccelli vuoti e rinsecchiti, in fila ai gazebo, senza luce!
Qualche sfera vuole fare la furba, defilarsi, scappare dal giudizio della storia: i numeri non bastano per salvare un paese. Ci vuole il cuore. Ma quel muscolo inutile gli è stato tolto fin dalla nascita altrimenti non avrebbero potuto sedersi sugli scranni del potere e mangiare alla stessa tavola degli impostori.
E questo mondo infelice di italiani chiede all'implacabile mondo americano: e voi dove eravate, mentre uomini indegni ci consegnavano al macero?
Questa non è più l'Italia di Fellini, perchè l'uomo mercantile che vive dovunque in Occidente, non ha più un'anima: ha venduto anche quella. Dunque America, specchiati! Questo è il degrado, figlio di Wall Street.
Sei tu che hai fatto affari con coloro che ci detestano e ci regalano oggi sorrisi di cartapesta.
La disgregazione del nostro mondo è stata più rapida, più evidente, nell'Europa dei potenti, perchè mondo più fragile, giovane democrazia vestita da madre di famiglia ma in verità puttana di notte e beghina di giorno. Sì, questo paese sta in declino...lasciamolo declinare verso la fine di se stesso, portasse via all'inferno con sé tutti i demoni vegliardi che hanno custodito i penati del loro interesse, i ricattattori e i mediocri che hanno visto e chiuso le imposte, dentro la loro sfera di delitti e defecazioni.
Quando non ci sarà più nulla da prendere, non rimarrà che la scelta, la stessa che ha oggi il mondo di fronte alla sua sopravvivenza: implodere o uscire dalla sfera. Con una pala in mano, per raccogliere i rifiuti e le macerie.
E quei giovani trentenni che Grillo vorrebbe al posto degli anziani inefficienti saranno in grado di portare tanto dolore? E di questo dolore farne loro maestro e strada verso la cura dell'altro?
Non saranno gli studi ad Harvard, nè i master e le lingue e le conoscenze tecnologiche a salvare il destino di un paese: sarà semmai l'aver creduto ad un nuovo stile di convivenza con il pianeta e i suoi abitanti. Aver fatto della sfera la casa comune, dove c'è spazio per chi è al di sotto dell'income tanto da non chiamarsi più uomo ma povero e per un territorio che restituisca alla terra i suoi climi e le sue creazioni.

12 dicembre 2007

L'opportunità

L'invasione degli Unni sulle strade della nazione e mi distraggono dalla mia soggettiva difficoltà a vivere e mi obbligano a riflettere su quanto avviene.
Un colpo di stato sotto i miei occhi ma frantumato in miriadi di colpi: la deriva corportiva sta sostituendo ogni forma alternativa di rivoluzione sociale; dai tassisti ai metronotte, dai medici agli insegnanti, dagli studenti ai lavoratori, ognuno porta avanti il suo stendardo e come nel migliore palio senese, ci si occupa della propria contrada. Getto lo sguardo nelle stanze di clausura del potere, stessa mitragliata di colpi: ognuno dirige lo scontro dove lo ritiene opportuno per il suo successo immediato.
Il risultato immediato è la preoccupazione dell'oggi, il presente non inteso come il luogo zen della contemplazione ma il luogo mercantile della soddisfazione: essere appagati ora, avere ciò che si chiede ora. Stesso desiderio di possesso immediato che hanno i bambini senza freni educativi: quelli che per un mobile phone massacrerebbero un compagno, oppure per godere l'ebbrezza del potere darebbero fuoco alla scuola.
Ora, gli Unni chiedono diritti e per ottenerli distruggono i tuoi: come i loro progenitori, entrano e fanno razzia. Che il mio sogno democratico finisse con un'invasione barbarica, lo temevo e profetizzavo da tempo: francamente, ero in attesa di orde veneto-padane in giubbe verdi, scendere dalle rive sacre del Po, a dorso di maiali, capitanati dall'inventore della maglietta-esplosiva e diretti in Campidoglio, per urinare sulla statua di Marco Aurelio e sui fasci littori (quello non mi dispiaceva come mossa sovversiva!). Invece, sono privata del diritto di guidare da un'esercito di poveri maschi, manipolati da qualche furbetto, con nessun altro gusto che il disordine.
Ed è proprio qui, cari signori Unni, flagello dei consumatori, la vostra protesta violenta e selvaggia come solo un mondo autorefenziale può produrre procura in me un certo cinismo e un bisogno di dirvi: dei prodotti sequestrati ne faremo senza!
Andrò a piedi a prendere le ragazze a scuola. C'è il sole. Camminerò a lungo e le cartelle pesanti amiche dell'osteopata, verranno poste nel carrello da spesa, di quelle con cui circolano-idea efficiente-gli zingari per fare la spesa nei bidoni della spazzatura. Magari per strada incontrerò qualche conoscente e sarò costretta anche a fermarmi a prendere il caffè al bar. Ah, no, il caffè non c'è al bar, non sono arrivati i rifornimenti: va bene, Gandhi faceva colazione con un brodino vegetale. L'acqua calda va bene: depura ed è adatta per il freddo.
A rischio il pane, il latte, i generi alimentari...mi farò il pane in casa per i prossimi giorni. Per il latte, sono sempre stata intollerante ed è venuto il momento di insegnare alle ragazze a consumare orzo.
A rischio le feste Natalizie...sono anni che sogno un Natale frugale, un piatto di pasta, le mamme sul divano a leggere poesie e a giocare a nascondino con i figli piuttosto che a schiattare in cucina per conquistarsi l'affetto e la stima che non troverebbe altrove.
Grazie agli Unni, migliaia di quintalate di cibo fresco sono andate a male, decomposte, mentre a Darfur i bambini che non hanno la televisione muoiono con lo stomaco vuoto senza sapere di quale imbecillità è capace quel mondo occidentale che ora, a Natale, gli invierà in conto corrente il suo senso di colpa. Ho modo invece di sentirmi vicino alla precarietà di quei bambini, ora che vedo il cibo andare al macero.
Questa occupazione è una grande opportunità per capire di cosa viviamo: un' economia fragile come l'equilibrio di un elefante su un filo. Si ferma un ingranaggio e tutto si arresta: le guerre servono infatti a lubrificare il montaggio e a evitare che si inceppi. Corriamo, compriamo, vendiamo, azzanniamo per reggere in equilibrio l'elefante...è un'immagine che mi fa sentire ridicola e schiava mentre credo di essere libera e potente.
Dunque, il sequestro delle strade e dei carburanti lo vivo come un'opportunità di pensiero: chi ci guadagna in tutto questo e chi ci perde? Come nelle guerre: i civili muoiono, i civili perdono casa e lavoro. Così lo sciopero è diventato un'arma da karakiri: parte dal basso per colpire in basso,
mentre il latte sulla tavola del Re ci sarà sempre, fintanto che ci sarà anche solo una goccia di latte sulla terra...
Lo sciopero dei Tir è una prova di trasmissione di quando finiranno nei prossimi anni le riserve di acqua e energia e non sarà colpa dei barbari!
Inviterei i politici a sedersi con il cuore in mano, se non l'hanno venduto in borsa e passare al piano B: abbiamo avuto una prova della necessità di inventare una energia alternativa!
Magari anche di procurare una mucca per abitazione e eventualmente di ripopolare le strade e autostrade di alberi da frutta e cereali, da raccogliere in base alla necessità.
Abbiamo anche un'occasione per istruire i camionisti forzatamente a riposo: in queste ore fredde, ci si divida in gruppi e si prenda in mano un buon testo su cui discutere insieme: basterebbe anche la Carta dei Diritti Umani.
Scendano in piazza musicisti e poeti, per raccontare all'uomo che non di solo pane vive ma anche di immaginazione, giustizia, rispetto degli altri...e che dopottutto, in questa epoca disperata e senza speranza, il piccolo sacrificio di ognuno potrebbe salvare il mondo!

9 dicembre 2007

Time is up

C'è un piccolo mondo di semplicità e bellezza, nascosto tra la Laurentina e le giostre del Luneur, dove andare e inginocchiarsi; pregare lì è l'azione più naturale e intensa che si possa compiere. Il villaggio, poche case dall'aria asiatica, delle Piccole sorelle di Charles De Foucauld, ha al centro una cappella di legno, con il soffitto a capriate, pochissime panche, un'icona e semplici fiori o rami di pino, in questa stagione, a decorare l'altare. Le sorelle più giovani e resistenti si siedono per terra: tra l'altare e la porta di ingresso non c'è che la terra, il legno. Lo sguardo va subito in alto, verso le finestre che tagliano porzioni di cielo e salici.
E' un mondo femminile e pacificante che non porta sul volto nessun segno di sterilità emotiva o incompiutezza affettiva: mi hanno sempre meravigliato i corpi "mistici" delle sorelle indiane, leggere e sinuose perchè il creato abita e fiorisce in loro al di là della scelta di una vita casta. Le più anziane hanno il volto levigato: le rughe sono solo solchi di libertà, di chi vive oltre...
Io qui ritrovo la mia strada e quando mi siedo non vorrei più rialzarmi, come Pietro presso il Tabor: dispero di montarci delle tende e di viverci in eterno.
Queste donne attraversano il deserto o le strade del Bronx o i quartieri poveri di Milano senza altro desiderio che di andare: vengono dal Canada, dalla Francia, dal Pakistan, dal Giappone e sorridono su qualunque sentiero.
A me costano anche i pochi metri che sono obbligata a percorrere.
Non ho fatto voto di povertà e non ho abbracciato nessuna regola eppure mi viene chiesto di nuovo di lasciare ciò che non ho mai compiuto e di obbedire a quella legge che è la fedeltà al proprio cammino intrapreso.
J va di nuovo via.
Ha trovato lavoro in Brianza, ancora e sempre karma di fuoco sul nostro destino,dopo otto mesi di ricerca nel centro-Italia presso aziende poco ospitali e chiuse nel loro giro di conoscenze e affari. E' un cacciatore, dice una mia cara amica, e per sfamare la prole è costretto a inoltrarsi nel bosco. La "questione italiana" si è fatta complessa e non lascia spazio alla creatività e ai sogni sabbatici: occorre seguire il mercato e rivedere le aspettattive.
Noi restiamo qui, perchè nel villaggio la vita continua e i figli crescono e richiedono il compimento delle loro iniziazioni: la scuola, la casa, le piccole giovani radici ancora fresche per essere strappate di nuovo e comunque non prima della prossima estate che vorrei che non fosse così prossima.
Sono sempre stata solidale con il mio compagno, insieme abbiamo affrontato gli interminabili cambiamenti e il grande mare periglioso della malattia...ma ora, dopo tutti questi lunghissimi quindici anni le forze sono messe a dura prova e la meta è così inappetibile, difficile da masticare, che piuttosto ti fa agognare il digiuno e l'assenza.
Guardo le mani delle Piccole sorelle aperte sul grembo e il corpo abbandonato nella fiducia: quanti secoli o attimi occorrono ad un'anima per abbracciare il vuoto, senza difese?
Alla fine sceglierò la strada, unica, lungo la quale ho svuotato il mio sacco, spesso rimasto senza riserve, fatta di chilometri di solitudine e di amabili amicizie, tuttavia amara come le locuste frantumate nella farina di cui si cibava il profeta nel deserto...amarezza senza profezia, sulla quale l'amore di J è colato come l'olio di Aronne.
Ma adesso ho un solo desiderio di restare seduta e non alzarmi per i prossimi millenni, con il pensiero concentrato sulle mani chiuse sul grembo, non ancora capaci di aprirsi come i fiori all'alba. Le labbra sono sigillate.
Per il canto di grazie, dovrò aspettare nuove stagioni.

7 dicembre 2007

Ciò che siamo

http://www.repubblica.it/2007/12/sezioni/economia/censis-rapporto/derita-intervento/derita-intervento.html

Una fotografia perfetta di un paese deforme.
Uomini e donne di superficie che scivolano sulle vicende storiche senza che nessuna passione o motivazione o sacrificio li intrattenga. Nessuno sguardo oltre se stessi: malati di soggettivismo, familisti perchè cannibali, rovesciati verso la propria immagine e violenti, perchè questo siamo diventati, razza informe e violenta che si esprime dal ragazzino delinquenziale delle medie al sindaco di Treviso che invoca le SS e lo sterminio. Tra questo e quello...una indifferenza cronica, una preoccupazione narcisistica di sé.
La deriva di un popolo nasce dalla disistima di se stesso: i tedeschi dicono di noi che "sporchiamo il nostro nido". Un popolo schiavo non può aver stima di sé: non siamo cresciuti con la coscienza di un adulto ma quella di un chirichetto o portaborse. Chiunque di noi, italiano, si guarda allo specchio si sogna altrove perchè da sempre è portato a pensarsi come essere in gabbia che a partire dall'utero della madre onnipresente alla cattedra scolastica precaria o alla scrivania di un ufficio poco edificante, subisce il proprio destino, le proprie scelte: impariamo ad odiarci per la nostra impotenza. La rabbia diventa rancore e il rancore lamento continuo e turpiloquio.
Ne uscirebbe fuori altra materia se invece di imprecare contro ciò che siamo ci impegnassimo a svolgere il nostro dovere nel migliore dei modi, a soffrire con dignità e onestà, a testa bassa, tutti al lavoro come i cinesi ma con lo sguardo alla coscienza e il pensiero libero e autonomo dalla "mucillagine": non serve emigrare altrove, nella mitica England, nella sconfinata America...nell'isola che non c'è. Possiamo cambiare mare ma restiamo ciò che siamo
Popolo di sognatori, navigatori...nello spazio angusto delle proprie allucinazioni! Provo immensa pena per questi corpi senza anima che si ammucchiano davanti a un teleschermo o nei banchi di università.
Spegnere la tv e aprire un libro di storia o di filosofia diventa l'unica terapia possibile da applicare. Si ricominci a leggere per capire da quale errore abbiamo costruito una nazione..che non c'è.

Paese di sole, paese di cielo, paese di mare,
Paese di una noia mortale
Io, pieno di nostalgia per la mia Parigi
Sono qui, a Napoli, circondato da barbari
E mangio pesce
Cucinato senza amore.
(R.Vecchioni)

His Holiness

Se potessi offrirei volentieri la mia casa al Dalai Lama.
Pare che in Italia abbia creato un pò di imbarazzo la sua presenza; non piace alla Cina e dunque, paese libero quale siamo, non è conveniente che piaccia anche a noi.
Il povero esiliato, che soffre della stessa sindrome americana di cui ha sofferto Madre Teresa, e per questo è per me un modello di compassione ma non di analisi politica tuttavia ha trovato in God-bless-America il suo diritto a esistere. Neppure otto dinastie bushiane potrebbero strappare all'America quella capacità di intuire dove risiede il "genio" e così di accoglierlo. Il Dalai Lama è un warm-hearted man ed è capo spirituale di un popolo che ha sposato il valore della non-violenza. Uomo di pace, ha viaggiato nel mondo per portare agli uomini la consapevolezza dell'enorme sofferenza del popolo tibetano e per testimoniare il potere della compassione nell'insegnamento buddista, che diciamo, ha più seguaci di San Tommaso d'Aquino e riscuote più empatiche adesioni dell'encicliche papali.
Questo uomo umile non ha ancora meritato un colloquio con il Papa.
Le ragioni? Non hanno avvertito sua Santità tibetana che per il Vaticano esiste un solo stato e una sola religione, di conseguenza nella monarchia assoluta si accettano solo vassalli e valvassori, non altri re.
Il Tibet danneggia la "ragione" senza la quale non si rafforza la "fede"( credevo che ci volesse anche il cuore!): conosco cattolici teodem che sorridono con scherno sulla credenza dell'incarnazione ma non rabbrividiscono di fronte alle apparizioni di Padre Pio. Per i molti cattolici ortodossi, il buddismo è una spolverata di relativismo sulle coscienze: responsabile di questo sono stati i media che hanno relegato Buddha a patrono di hollywood e dei divi americani, come altrettanto responsabili sono stati i buddisti nostrani, fondatori di scuole approssimative, snaturatori di una fede millenaria ridotta in pillole di saggezza, yogisti e bevitori di tisane che hanno assunto una forma credendo di dargli sostanza. Superficiali, direi, come molti di noi, cristiani della messa domenicale, visitatori di santuari dubbi e cultori di miracoli di cartapesta.
Ma chi ha visitato la Cambogia, chi ha soggiornato nelle strade povere dell'India, chi ha visto i tramonti birmani vi dirà il buddismo è altro...è innanzitutto fede di milioni di poveri asiatici, espressione altissima di adesione alla realtà e di accettazione degli eventi, di amore accogliente che fa dire al Dalai Lama quanto egli comprenda le ragioni dell'altro, fosse pure la Cina violenta e usurpatrice o un Papa accartocciato su se stesso o un paese piccino e senza ossigeno come l'Italia. Joseph è intenzionato a lasciar il cuore fuori dalla porta di quelle stanze che accolgono, senza vergogna, preti e politici già in bocca a Cerbero; il cuore è troppo femminile per sedere sul trono; non può che essere relegato nelle sale di servizio.
Geniale allora l'intuizione di Tenzin Gyatso: se sarà necessario rinascerò donna. Neppure un Papa potrebbe mai arrivare ad una simile grandezza: lo Spirito potrebbe aver bisogno di un corpo di donna, di nuovo! E sì che Buddha non ha avuto parole positive sul mondo femminile e sì che il monachesimo buddista non lascia spazio alla creatività delle donne; eppure se un uomo, capo di una religione, è ispirato ad una simile rivoluzione allora le mie orecchie tendono all'ascolto e tutto intorno si fa silenzio. Il sentiero dello Spirito creatore è imprevedibile e il suo suono è una vibrazione armoniosa e sottile: come il vibrare della scodella vuota del monaco birmano. Se provate a toccarla, ha un suono che si prolunga fino alle viscere; nell'assenza di concetti e idee, il cuore si muove verso un sentire e un'emozione che chiede pace. Il Dalai Lama è in pace con se stesso per questo dalle sue parole non cola amarezza o giudizio: il suo cuore è libero di contenere tutto.
In fondo, è emblematico, ha un valore simbolico che il monaco tibetano resti fuori dalle porte di bronzo di un regno- lo Stato Vaticano-ancora lontano dalla strada del vero "svuotamento" e del cambiamento.

"Ciò che oggi spinge un buddista, specialmente un monaco, ad abbracciare ogni forma di protesta non violenta è una scelta ispirata all’ideale del bodhisattva, una figura molto vicina a quelle di certi santi cristiani: questi angeli della compassione dedicano la propria vita alla salvezza degli altri riconoscendo come non vi sia altra alternativa che la profonda compartecipazione alla sofferenza altrui, sia sul piano spirituale che umano." Stefano Bettera
www.viator.it

4 dicembre 2007

Compagnia e silenzio

Del male, penso tutto il male possibile.
Cade a pioggia, a schizzo, sulla faccia della gente senza nessuna direzione precisa: gli basta creare disordine.
Il male conseguenza dei nostri peccati è una notazione teologica che di fatto significa, tu pecchi e il male si rafforza e colpisce ma non porta in sé la verità che se pecchi di conseguenza soffrirai proprio tu: chi fa il male campa benissimo, i suoi peccati gli procurano forza, quando muore, muore satollo.
E finora non ho visto che le conseguenze psicologiche sulla vittima, l'oggetto del male.
Il male non è logico, quindi non risponde alla legge di causa-effetto, sebbene gli uomini cerchino sempre di razionalizzare i processi storici dentro un simile rapporto.
Così se la mia amica Anna ha un tumore al cervello, le dicono perchè si è stressata troppo, che la sua vita negli ultimi anni è stata provocata da troppe tensioni e affanni: così se Daniela è ricoverata con una massa informe e galoppante, sempre nel cervello (posto prediletto del male), le raccontano che il crollo nervoso e dunque delle difese immunitarie avranno aperto la strada al drago.
Fatto sta che nè Anna, nè Daniela hanno trascorso un solo giorno fuori dalla legge di causa-effetto, hanno amato, si sono donate, hanno vissuto nella reciprocità, hanno riso e portato allegria e dunque il male le devasta, dimostrando come è conseguenza di una creazione senza legge.
Dicono che è l'inquinamento atmosferico: non ho ancora visto morire i carnefici di inquinamento atmosferico prima del compimento della loro vecchiaia.
E' piuttosto un disordine cosmico e l'unica certezza che abbiamo è che non corrisponde alla legge interna, scritta nelle nostre coscienze, di giustizia e verità.
Ho visto che i più "deboli" sono la prede agognate, dove per debolezza intendo le anime dell'infanzia, leggere, libere dietro un sogno d'amore, ignare delle maschere e dei giochi perversi, aperte al mondo che le trapassa lasciando dentro residui tossici oltre la rugiada e le nuvole. Le anime che non si difendono, che credono, sperano, provano: queste ho visto patire.
I bambini ,poi... del loro passaggio veloce è seminata la terra, una presenza e via: troppo belli e puri per tenerli in vita.
Giù in questo oceano senza fondo in cui nuoto, il mio amico teologo (a piedi scalzi, come si definisce lui) dice che non ho visto ancora, che questo buio e tutto ciò che il buio richiama non è che un velo da rimuovere dagli occhi. Nascosta dentro la fessura di una roccia, c'è una perla introvabile che acquista colore - lo stesso colore degli occhi di Dio - solo se impari a guardare nel buio.

Continuo a fluttuare nelle acque, tengo Anna e Daniela per mano, il movimento delle particelle dell'acqua mi dice che ci sono altre presenze, che siamo in tanti, in migliaia, immersi nelle acque scure in cerca di significato...qualcuno dice che l'ha trovato, su un libro, un documento a pagina...non so cosa...non sappiamo leggere, non possiamo leggere: siamo al buio e l'acqua sfalda ogni elemento materiale. Qualcun'altro urla il nome di un Dio, due nomi, tanti nomi ma la voce quaggiù non ha suono...non restono che bolle e di certo chi ha parlato senza prudenza muore soffocato dall'acqua.
Non resta che procedere e fidarsi, di chi è già sceso ed è tornato in superficie, con il colore negli occhi!

"tu parli di oblio e di non-oblio. Devo vivere senza appesantimenti su di me e sui miei problemi, lasciar cadere cìò che incatena, andare dove non si sa per dove non si sa...seguire la propria stella, ciò che si è intravisto e che ci fa progredire e attraversare la notte..."
Nicolle e Olivier Carrè-Luna di miele amaro- Servitium

2 dicembre 2007

Tra pensiero, scrittura e dialogo

Succede spesso che i miei post non siano dei pensieri consegnati al video in forma perfetta o conclusa; scrivo di getto, nell'irruenza delle emozioni, pubblico e poi ci ritorno su per rifinire -talvolta anche nella sintassi- un contenuto che mi appare sempre incompleto.
Rifletto da lì a poco che avrei dovuto chiarire meglio per correttezza verso il mio pensiero inesperto che sta cercando di crescere insieme alla scrittura. Allora aggiungo e riformulo frasi che mi sembrano più idonee a ciò che di fatto intendo: capita così che voi vediate on line un processo di elaborazione che in forma cartacea sarebbe nascosto a tutti.
Chiedo scusa ai lettori per questo ma davvero vivo la pagina on-line come luogo libero di espressione, spazio esclusivo dove penso e scrivo ciò che voglio, in cui non esiste nessun'altra legge che quella di giocare con la propria libertà di dire e non dire, pubblicare o eliminare. Cancello spesso il superfluo e aggiungo lì dove vorrei chiarire meglio a me stessa ciò che vado esponendo e l'aspetto buffo di tutto questo è che non riesco ad avere visione dei concetti fino a che non sono stampati per bene sulla pagina e soprattutto, tragicamente, fino a che non li elaboro sul computer: non riesco più a far emigrare idee dalla testa alla penna.
I tasti mi sono congeniali.
Sono anche affezionata a quello sfondo azzurrino che accompagna i post e mi sento rassicurata dalle voci dei link che mi accompagnano. Una esperienza paradossale: scrivo in casa in solitudine sapendo di non essere sola, sento sulla mia pagina lo sguardo fiducioso e tollerante di chi come me fa esperienza della scrittura, ognuno a elaborare il proprio pensiero e la propria storia eppure non chiuso in un mondo autoreferenziale ma in contatto costante, aperto, senza urto, semmai in risonanza. Ogni giorno apro la finestra sulla scrittura di altri e so che loro vengono a me con la stessa simpatia umana: non credo che riuscirei più a chiudermi in una stanza con fogli di carta.
Il mio pensiero vive anche di energia di altri ed è troppo poco nutrito e espanso per poter bastare a se stesso.
Scrivere un post è pensare e dialogare: c'è sempre qualcuno che poche ore dopo, o giorni, invia un segno di ascolto, di passaggio sulla pagina e allora le poche righe nate dalla "pancia" assumono una loro corposità e con l'aiuto dell'altro si definiscono meglio, acquistano una "testa".
Le riflessioni sull'enciclica di Benedetto XVI, per esempio, sono state scritte dopo lo sfoglio delle 25 pagine on line riportate dai giornali; non hanno nessuna pretesa che raccontare quali corde mie siano state toccate dall'idea di un vecchio papa che si mette a scrivere sulla speranza, a partire da un castello di idee impossibili da smontare, chiuso, sigillato nella fortezza delle sue convinzioni.
Ed ecco che arriva la telefonata dell'amica e la sua risonanza mi emoziona:
"perchè non hai scritto- mi dice- di Joseph e Roberto?..."
"Roberto chi? dico io..."
"Benigni, mi risponde, un confronto tra un teologo e un poeta che parlano di speranza e amore in modo così diverso, teorico e scolastico il primo, appassionato e travolgente il secondo".
La mia amica Paola aveva visto, come me e tanti altri, il canto V dell'Inferno prendere vita dentro il corpo del buffone, di quel grande joker di Benigni che per spiegare il verso "Amor, che nullo amato amar perdona" cita il passo del Vangelo in cui Gesù è toccato dall'emorroissa, ovvero dall'amore e dalla fede di questa donna e dunque non può non voltarsi, richiamato com'è dalla potenza di questa forza: forza che lui stesso dona, tant'è che è sufficiente sfiorarlo!
Può un comico dire la più sublime delle bellezze e convertire subito il cuore a quell'Amore adorante, senza essere passato dalla Gregoriana? Cosa colpisce di colui che parla di speranza e umanità e amore eppure non ha altro che la passione per la letteratura, l'arte e la sua donna?
Colpisce proprio la carnalità della persona: quando Benigni parla in versi endecasillabi dell'amore cristiano, chi lo ascolta avverte che l'uomo ha "soggiornato nel fuoco dell'amore di Dio" per riprendere la citazione di Weil.
Ecco dunque la propagazione del pensiero...parlare con Paola mi ha riportato al femminile, alla donna che intuisce Dio e come tale tocca il cuore più di qualunque testo ben cesellato e consegnato agli annali storici. Rafforza in me la convinzione che ognuno può dire la sua in fatto di fede e di speranza ma è credibile solo chi è stato attraversato dalle cose terrestri, chi si è fatto uomo tra gli uomini. Leggiamo ancora Dante infatti, oggi. Non so se un giorno, qualcuno declamerà mai una enciclica!
Eppure quella compassione che il poeta-comico è riuscito a rivivere e che Dante ha sofferto attraverso la poesia e la vita, è la stessa compassione che ho provato, ieri, per l'uomo-papa, solo nel suo club di salvati, mentre accusa il mondo "fuori" di aver agito contro i diritti della persona, mentre affonda ong come Amnesty International per salvare le sue di ong cristiane, la scienza, le idee libere e laiche, ma che mai con lo stesso rigore guarda alla Chiesa per chiedersi dove fosse mentre il mondo occidentale, benedetto dai suoi vescovi, scorazzava qua e là a far vittime.
Questo è il blog...movimento di pensieri che si intrecciano, da cui nascono riflessioni talvolta così incisive da chiederti una sospensione, un'attimo di tregua, per rivedere le tue scelte, per chiarire le tue appartenenze.
Scrivere allora è diventato un modo per tracciare un sentiero a se stessi, per raccontarsi dove si vuole andare e cosa si vuole raggiungere. Un grazie a Paola, alle donne sempre piene di forza creativa, agli uomini cari che lasciano uno sguardo di madri su queste pagine semplici.

1 dicembre 2007

Avvento

L'enciclica di Joseph mi ha lasciato senza amarezza.
Ho provato al contrario un tenero sentimento di compassione per l'uomo, un ricercatore tra parole e testi sacri, anche lui, della speranza.
Mi sono scivolate giù dagli occhi le stesse squame che rendevano cieco Paolo e ho visto non certo Dio ma la ferita che ogni persona porta sul costato. Ma forse quella è il Suo vero volto.
Anche un Papa è in cerca di risposte sebbene per investitura è obbligato a scrivere che ne abbia trovate e che ne sia sicuro. La sua risposta è consolazione per molti in tempo di bufera, aiuta a definire la strada e somministra una cura per quella malattia cronica del dubbio e della confusione che a me appaiono invece sempre passaggi necessari e obbligati per crescere.
Tuttavia anche lui avrà il suo vuoto, il suo conto che non torna ma non dice e consegna nell'intimità al suo Dio.
Ed è giusto interrogarsi da parte sua a partire dalla Parola, dai testi dei Padri della Chiesa, dagli esempi dei santi che nello sgretolamento della Storia privata e collettiva hanno trovato, nell'annuncio che Dio li ama e li attende, la loro speranza. E' tutto in apparenza molto bello, nitido, pulito come i lunghi corridoi dei conventi con l'odore di quiete, e tutto così semplice. Dio c'è, ci ama, Cristo è la salvezza. La strada è tracciata ed è unica nell'infinito spazio delle costellazioni. Invece io resto sgomenta, con una domanda sulla punta delle labbra: perchè dovrei credere senza sperimentare?
Lo vedo riporre la penna nel calamaio d'oro e chiudere le pagine dense di pensiero con la calma di chi è supportato da secoli di storia e di voci che confermano la sua analisi.
C'è tutto il mondo laico, fuori da quegli scritti, un mondo non cristiano che risiede altrove, l'infinito numero di chi non ha risposte e a cui il nome di Gesù non ha cambiato la vita.
E' una provocazione troppo forte da sopportare: come definire l'altro, l'escluso, colui che deve convertire e richiamare all'attenzione piuttosto che imparare ad ascoltare e fare silenzio per comprendere? Meglio annunciare con convinzione e magari anche con gioia sincera che si è trovato un tesoro nascosto da svelare al mondo e ignorare invece che il mondo può aver trovato altre perle e altri tesori che risuonano dello stesso annuncio e della stessa gioia?
Ed è qui che il mio pensiero si arresta. Ed è qui che si inceppano le mie certezze e mi incammino su un sentiero più sconosciuto di quello sicuro e "luminoso" raztingheriano.
Cristo è l'uomo rivelato, nella solitudine e nella fragilità, nella grandezza e nella morte, nella fede e nel dubbio dell'abbandono. Ogni uomo fragile è Cristo e l'umanità tutta è luogo, epifania della divinità, quando cammina verso la sua realizzazione, la pienezza del suo esistere che è amore, donazione, canto, amicizia, tenerezza, infanzia. Nient'altro esiste se non questo: la storia passerà, i culti, le religioni, le parole. Resterà il volto di chi si è alzato da terra ed si è lasciato trasfigurare da una vita d'amore.
E l'amore non lo si insegna: si vive, è fatto di carne.
E il segreto dell'amore non appartiene ad un gruppo, ad un popolo, ad un secolo: è conquista e patrimonio di ogni persona.
E la speranza nella vita presente e nella vita che verrà? Per me è racchiusa nell'impegno di chi -ora -cerca, si interroga, rischia sulle strade della giustizia e della verità e consegna al futuro una nuova strada da percorrere per la realizzazione del Regno, che c'è e che non è mai completato. Quanti uomini e donne nel mondo portano questa luce, senza appartenere alla mia stessa fede? Spesso senza sapere di essere divini?
Comunque sono proprio le ragioni di libertà, e l'ascolto di altre fedi, che mi spingono questa sera ad abbracciare Joseph e tutti gli uomini che respirano con me su questa terra e che come me oltre tutti i contenziosi, le analisi, le passioni, le ambiguità, disperano d'amore.
Non potrei attendere il Natale se non credessi possibile di attendere proprio lì, nella povertà di se stessi, la grotta della propria nudità, tutti gli uomini, tutte le ferite, tutte le storie, tutti i tentativi, i percorsi, le risposte che non sono che balbettii di fronte all'immenso.

"Non è dal modo in cui un uomo parla di Dio ma dal modo in cui parla delle cose terrestri, che si può meglio discernere se la sua anima ha soggiornato nel fuoco dell'amore di Dio" (Simone Weil)