28 marzo 2009

Dedicato ai piccoli della terra

... e guardo il volto dei bimbi innocenti d'Africa e mi commuovo davanti ai volti "insignificanti" dei morti ricordati da Saviano...quanta bellezza esiste: siamo chiamati a preservarla!

Etiopia

Saviano:http://www.chetempochefa.rai.it/TE_videoteca/1,10916,,00.html


Non distogliere mai lo sguardo del povero, così non si leverà da te lo sguardo di Dio.
Tobia 4,6

27 marzo 2009

Dante e Gramsci

Una donna di Fuoco mi ricorda di non mollare la presa del paese sano che scivola nel fosso: lei si chiama Grazia* come quella che invoco per noi!
Afferro coloro che pagheranno ancora e poi ancora di non essere vigliacchi, di non strusciare sulle tonache e sui doppiopetti per comodità, stanchezza, indifferenza, convenienza.

Paese di indovini e maghi che camminano, ora, con la testa all'indietro convinti come sono di guardare avanti (Canto XX dell'Inferno, tutto è stato già detto): trascinano i diritti della persona, in vita e in morte, della giustizia, della democrazia nelle acque nere dello Stige del passato, facendo passare per vera la menzogna che è per volontà di Dio!

Così il paese torna indietro, paralizzato, dentro un corpo che diventa di reato se vuole liberarsi dalla dittatura della vita artificiale e del bene dello Stato, considerando che i concetti autentici di Vita e Bene sono stati messi sotto sequestro e incarcerati a Castel Sant'Angelo in attesa di rogo!

Il paese torna al silenzio della notte che oscura tutte le verità e con appositi incantamenti camuffa il 25 aprile in un atto terroristico contro il regime salvifico.
Festino per guerriglieri!

Il paese arretra risucchiato da una magistratura eversiva che annulla quella sana e operativa dentro un gorgo di giochi e numeri acrobatici perché tutto si arresti, come da contrappasso. Così l'Angola avanza nei tempi processuali e in Malawi si costruiscono scuole internazionali ma in Italia si muore di inedia tra un processo disatteso e una scuola senza più insegnanti.

Tornare indietro è condanna per chi falsifica.
Chi ha smascherato i venditori di fumo non può restare a guardare.
Dante oggi, con me e voi tutti, canterebbe in versi le parole di Gramsci, che per mano della gentile Madonna Grazia ci richiamano a non seguire i fumi perversi dei blasfemi.


"Odio gli indifferenti" (Antonio Gramsci)
Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che "vivere vuol dire essere partigiani" . Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L'indifferenza è il peso morto della storia. E' la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall'impresa eroica.
L'indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E' la fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all'intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all'iniziativa dei pochi che operano, quanto all'indifferenza, all'assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell'ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I destini di un'epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell'ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch'io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano.
I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere.
Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l'attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c'èin essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l'attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento.
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.
"La Città futura" Febbraio, 1917

*i ringraziamenti a Grazia Collini che mi ha inviato questo testo, condiviso con voi tutti

24 marzo 2009

Gli alchimisti

I potenti investono ogni giorno energia e soldi e acido per difendersi.

Il refrain della nuova era è paradossale, quando pronunciato dai Signori: i media alterano la "realtà" e manipolano l'opinione pubblica.
Viene da ridere al solo pensiero che i proprietari assoluti dei media - dal paparè al presidente di un paese costruito nei sotterranei invisibili - si accusino involontariamente di manipolarsi.
Bagnasco ha lanciato il suo tormentone sui canali televisivi e internettiani: il papa è perseguitato.
Incompreso, denigrato.
Ed io che penso ai poveri o alle famiglie sfrattate dalla nuova crisi!
Io, stolta manipolata dai media, che non so riconoscere un martire teologo da un insignificante bambino rom a cui un municipio più nero della pece della nerissima Roma, vuole sottrarre il diritto di bere dalle fontane pubbliche!*
Un municipio non proprio distante dalle camere vellutate della sede che hanno battezzato "Santa..." eppure i santi e i saggi non sembrano accorgersene...

I maestri della comunicazione non sanno comunicare? Interpretiamo in maniera aribitraria gli interventi stile "condom" o le battute da avanspettacolo dei nostri manipolatori?
Dietro le righe si vuole inniettare una grande bugia: la stampa è libera, così libera che può colpire democraticamente il potere.

Invece no, agiscono con facce di bronzo i padroni della parola; l'informazione è la loro e la usano per depistare, elaborare mondi paralleli, tuttavia sempre guardinghi.
Nella grande melassa mediatica in cui si dipingono da eroi e salvatori dei popoli, gli esperti della alterazione genetica del linguaggio, sanno bene che può scapparci anche un barlume di luce!
A loro insaputa.
Così le nostri menti, nonostante il gas dell'indecenza, si aprono un poco e respirano: osservano la mancanza di nesso tra una dichiarazione e l'altra, tra una battuta e l'altra, tra un concetto e la sua negazione.
E restiamo a bocca aperta, tra l'ilare e il disprezzo, nell'analizzare i metodi di annacquamento e impoverimento, regolarmente scaricati sulle nostre anime bucate.
Dovremmo credere che si occupano della nostra salvezza?
Dei nostri bisogni di casa e lavoro?
Della giustizia nelle terre violate d'Africa?
Del diritto delle donne e delle persone a provvedere alla loro salute?

Emerge al contrario la trama della loro sete: avidità di imporsi sul mondo. E nessuno che chiuda loro le fontane!
Emerge come pubblicità occulta che sono loro quelli che mangiano, bevono, godono, negano i guadagni, si fingono benefattori, annullano sentenze, sottraggono materiale informativo all'opinione pubblica, non si fanno intercettare, gambizzano politicamente chi scopre la verità, coprono, sotterrano, uccidono con le parole.
Per il corpo, si fanno aiutare.
Emerge chiaro che non vogliono cedere il diritto di pensare e di emancipare la coscienza: la coscienza libera non paga l'otto per mille e non riconosce il sacro se non nella vita in tutte le sue manifestazioni.
Il Dio da negare è colui che fa dell'uomo un essere autonomo, svincolato dalle dipendenze, amante di un Creatore e non servo di un Legislatore: "io non vi chiamo più servi ma amici" (parola di un certo Gesù).

Di questa lettura della stampa e dei media, gli alchimisti hanno paura.
Lo stesso potere mediatico che li ha posti nella cabina di comando e sempre sarà al servizio di chi paga bene può infine implodere nelle loro mani e far saltare i circuiti.
E' sufficiente una piccola scheggia, un bambino rom incastrato tra il sindaco e la tanica dell'acqua, per capire di quali pensieri e desideri si nutre questo potere.
E' sufficiente una colata di cemento per sapere di quale amore e attenzione al territorio si nutre il palazzinaro Re Mida.
E' sufficiente una meticolosa spiegazione che da Ratisbona passi per gli apparati ultraconservatori fino alla gestione privata e collettiva del corpo delle donne sofferenti, per comprendere che sono indifendibili e incastrati dal loro stesso livore.

La pozione degli alchimisti mediatici sembrava perfetta ma qualcosa non ha funzionato...

*http://www.unita.it/news/83080/roma_il_municipio_vieta_le_fontanelle_ai_rom

19 marzo 2009

Ringraziamenti

Ai ragazzi dell'Onda che lanciano scarpe ai cordoni di polizia e protestano di non poter protestare, vogliono studiare e farlo bene, senza politichesi e baroni per questo li chiamano guerriglieri. Sì certo sono combattenti ma senza armi e mitra. Quelli appartengono ai "figli" delle politiche dei signori che oggi governano perché i terroristi hanno fatto il loro gioco.
Ai ragazzi di Gomorra che in quarantamila occupano Casal del Principe per dire che la resistenza non è finita e il numero di chi non si arrende alle mafie è in aumento; ai convenuti a Napoli, un numero immenso insieme a Libera di Don Ciotti, il prete che mi riempie d'orgoglio di essere una credente. In cosa poi: di un'Italia non ancora suicida.

A tutte le suore e ai preti e ai vescovi che vogliono far vivere la Chiesa bella e santa e rinnegano la zizzania che soffoca i loro frutti buoni nelle terre di frontiera, nei luoghi impervi e duri dove le mani dei teologi accademici non arriveranno mai ad imbrattrarsi di sudore e sangue.

Ai giovani e meno giovani amici che si presentano candidati nei loro comuni per le amministrative, con l'innocenza nello sguardo di chi è ancora pieno di coraggio e voglia di trasformazione: a loro, il mio abbraccio di compagna, alleata, sostenitrice.

A mio marito che è uscito di sua volontà dalla multinazionale con la testa alta, la dignità intatta, il cuore libero e si appresta ad affrontare l'ignoto, la sfida, la paura del domani, tra rischi e incertezze. Unico progetto: vivere insieme e godere del tempo concesso, senza paura.

Agli amici che hanno contribuito con l'acquisto del mio blog in forma caratacea, a raccogliere fondi per l'Etiopia e a lasciare l'orecchio aperto al suono di ogni richiamo di società solidale.

Alle mie figlie che crescono in bellezza a grazia e continuano a rincorrere l'allegria nelle giornate piene di desideri, incontri, scoperte e dubbi.

Alla vita stupenda che respiro ogni giorno tra luci dell'alba e tramonti sul lago.
Sono felice, felice di esistere, tra le cose che non vanno, tra le crisi che ci interpellano.

Padre padrone

La lezione che ci impartiscono le cronache sulla perversione del vecchio austriaco, un criminale a tutti gli effetti che ha scelto come vittima delle sue sevizie la figlia e i figli di questa nati dai suoi ripetuti stupri, è la resistenza della forma estrema del Padre padrone: il maschio che si fa Dio come denuncia l'austriaca, premio nobel, Jelinek.

Il mostro è il risultato finale di una progressiva discesa dell'essere nel suo inferno.
Per arrivare ad avere il volto di Friztel bisogna essere scivolati tanto sul lastrico del delirio da toccare senza più emozioni il fondo dell'abominio.

Ma senza arrivare così nel fondo, anche soltanto restando in bilico sul precipizio, il volto del Padre padrone è un 'ombra distesa sulla vita di molti.
Un archetipo nascosto nelle maglie delle nostre relazioni e tragicamente visibile nella struttura sociale e nei linguaggi della politica e della religione.

Qui in Italia, ha una radice solida.
I vecchi conducono il gioco che sia dal Parlamento o dalla Santa Sede. Si sacralizzano chiamandosi Cavaliere o Santo Padre e già nel linguaggio ci dicono che sono la punta della scala piramidale.
Vale per oggi come per ieri: il medioevo non è mai finito e il Dio assoluto continua a generare figli deviati e irreversibilmente simili a lui.

I vecchi ci hanno chiuso in cantina e condannati al buio.
Hanno in pugno le nostre vite che si nutrono delle loro menzogne. Quando si vive a lungo da prigionieri, privati dell'aria fresca e della normalità, si finisce per avere una percezione alterata del reale e quindi addirittura si arriva a definire quel mondo come nostro riferimento e confine della nostra identità.
I vecchi si sono mangiati la nostra giovinezza e i beni e le risorse che dovevano servire per dare speranza ai nostri figli. Dicono che hanno fatto tutto questo per noi, per il nostro bene.

Credo che anche i mostri come Friztel abbiano cantato questo mantra velenoso alle loro vittime.

Con i loro affari, i giochi meschini di palazzo, le vigliaccate politiche, le leggi truffa, lo spaccio di idee fasulle, le alleanze occulte si sono invecchiati senza dignità e vergogna ma guidando con accortezza dentro la gabbia tutto un gregge acefalo.
Così senza troppa indignazione, guardiamo i nostri aguzzini agire indisturbati sul corpo del paese e condurre un gioco macabro.

Da molti anni, l'Italia conosce il dolore dell'umiliazione e gli umiliati la dipendenza dal persecutore.

I vecchi poi si vestono da pastori, portano croci al collo per nascondersi dietro l'Umile e il Mite che hanno crocifisso, mentre disegnano da Padri padroni un mito di se stessi di onnipotenza, "infallibilità", divinità assoluta che riproduce su larga scala il dominio del maschio degenere sull'innocente.

Scrive Jelinek riguardo alla potere di Fritzel (Repubblica, 19 marzo):
"Lui rappresenta se stesso, può rappresentarsi come vuole, può disturbare la rappresentazione quando vuole, perchè è la sua rappresentazione. La rappresentazione di questo Dio-Padre-Nonno, il quale aveva creato un suo idillio seguendo - senza arte né parte -il modello del corpo femminile, con molte nicchie e corridoi (riferimento al nascondiglio costruito per la vittima)".

La Religione che rappresenta se stessa, il suo potere istituzionalizzato, la sua visione fossile del maschile e del femminile, il Dio Padre padrone che costruisce la legge per l'uso e consumo del corpo: questa religione costruisce cantine dove rinchiude le vittime.
Non so quanta consapevolezza, cattiveria, volontà, ignoranza ci sia dentro gli uomini della Santa Sede e il suo rappresentante, nel pronunciare verdetti contro l'Africa dall'aids galoppante o gli aborti di bimbi nati da bambine violate: certo non c'è lucidità nel non vedere il pericolo di una aberrante scivolata nel fondo.

Il Dio padrone del corpo femminile regna senza pudore: il corpo di una bimba di nove anni finisce per diventare un utero di proprietà della Legge che lo consacra come un reliquario per la devozione del sacro, un feticismo che si perpetua sul corpo delle donne africane che valgono meno di un principio medioevale.
La scomunica cadrà senza misericordia su chi libera quelle prigioni violate e non su chi le ha alienate alla vita e alla gioia.

Il corpo è oggetto di tradizionale culto manicheo e di purificazione ed è così che l'omosessuale diventa un corpo illecito piuttosto che un individuo con un'anima, un pensiero, una vita altrimenti detto essere umano: semmai una indegna protuberanza, escrescenza di un corpo disfunzionale, senza diritti.
O il corpo disfunzionale di un malato terminale senza ritorno è l'ossessione da cui non si guarisce, sacro luogo di dominio: la vita è regolata dai libri esoterici degli antichi padri padroni!

Il corpo del paese e il corpo dei deboli: su di loro la Pazzia scorazza giorno e notte e traduce la disperazione dei vinti in cronaca nera. Il potere del Dio vecchio e cannibale resta immobile.

13 marzo 2009

Sepolti vivi.?

E' arrivata la primavera, da queste parti, e gli alberi di mimose sono una delizia di giallo sparso sul cielo: la vendetta della creazione sul grigiore del cemento.

Ah, il cemento, questo virus purulento che ci vogliono spalmare sul territorio! Dietro la mano corrotta del costruttore c'è come un desiderio occulto di seppellirci dentro un grande loculo!
Abusare del territorio, delle donne, dei cittadini, dei contribuenti, della formazione dei bambini, della legge, dei diritti: gli esseri privi d'anima banchettano sulle nostre coscienze spente, alienate, deturpate.

Il cemento è la loro defecazione su di noi.

Ci odiano e lo dicono ogni giorno, con ogni legge, con ogni proposta. Nel frattempo, ampliano i loro parchi, abitano palazzi circondati di terreni floridi e viste mozzafiato, recintano il loro feudo e tengono il cemento ben lontano dalla loro vista.

Se potessero colerebbero calce nelle nostre gole per non farci gridare, sulle mani per non farci scrivere, sugli occhi per non farci denunciare.
Ci uccidono senza sporcare: il sangue sulle strade o nelle stazioni potrebbero ricordare ai sepolti vivi che la vita ancora scorre nelle vene.

No, il nuovo-vecchio potere usa l'immagine, vive di sola immagine: il mercante vuole uccidere ogni senso del buono, del bello, del vero per vendere cianfrusaglie e chincaglierie al popolino della fiera.
La nuova filosofia è il degrado come forma di despotismo.

Espropriazione della bellezza: tale mercante vede nella bellezza un guadagno e un'affare. Dunque o si paga cara, carissima, o si nega.
Inoltre, per distinguersi da quel gregge maleodorante, per innalzarsi dal fondo della sua radice crassa, lo domina con le menzogne: Venghino signori, venghino, sicurezza, felicità, verità a prezzi ridotti!!!
Quanta gente ha comprato valori fasulli con l'ultima elezione, vendendo l'anima, e ora si è ritrovata con una foglia di fico e una vergogna senza guarigione!
Ma ai suddetti clienti va negato il risveglio: quindi, "uccidiamo il chiaro di luna", le biblioteche, la cultura, il linguaggio, estirpiamo la radice dalla terra, dai profili delle colline, dal territorio che appartiene al mercante non al popolo... Raccontiamo di mostri, stupri, orchi, circhi e danze del ventre: stordiamo fino allo svenimento...e poi seppelliamoli tutti!

Immondizia, cemento, povertà, corruzione, disprezzo!

Prima che chiudano l'ultima tomba e tombino - alcuni senza permesso di soggiorno hanno residenza nelle fognature della storia - siamo disposti a diventare un incubo per le loro notti?
Siamo in tanti, milioni.
Potremmo circondarli come gli zombi dell'inquietante thriller di Michael Jackson.

Talvolta i morti tornano.

Nelle scuole, nelle fabbriche, negli ospedali, negli uffici, i sepolti vivi non applicano nessun decreto e si alleano per non applicare nessuna legge-vergogna.
Disubbedienza civile.

Ci hanno già ammazzato: non c'è più nulla da perdere.

10 marzo 2009

Il pifferaio magico

Non sono una scrittrice, in termini classici, ma una suonatrice di pifferi magici.
Uno l'ho trovato per caso sul mio sentiero e ho cominciato a soffiarci dentro.
Mi ha regalato un' inedita melodia.
Suona oggi e suona domani mi sono ritrovata in compagnia di tanta gente provvista di "soffio" speciale: se io dò il La, dalle loro labbra nasce una sinfonia di suoni.
Il piffero magico non è la "rete", termine che sembra rievocare più un sistema per catturare, imprigionare, fare fesso il pesce che vi si accosta ma il "vento" che da un tasto all'altro trasporta un' eco, una vibrazione del cuore.
Mi fermo a guardare le centinaia di persone che mi seguono...hanno occhi buoni e sguardo innocente...inseguono il suono della parola debole.
Sono venuti tutti per dirmi che la debolezza è il La in cui si riconoscono: vengono per cercare l'Umano...
Insieme a loro, tra gli ulivi, i melograni e le pietre antiche di un convento, il cuore si è sciolto in mille rivoli di sangue che andranno a irrigare la terra.
Niente è perduto fino a quando qualcuno di noi continuerà a suonare: vogliamo vivere e farlo bene, con dignità e rispetto della creazione e dell'uomo.
Siamo in tanti, migliori di come ci descrivono nel mondo artificiale dei media e della politica: siamo coloro che ballano e cantano e suonano dietro un piffero magico che un bambino ha abbandonato sulla strada, sconsolato e demotivato dall'indifferenza degli uomini.
Noi raccogliamo la sua eredità e riprendiamo a innaffiare, con il suono della speranza, l'agonia del mondo.
E camminando e camminando mutiamo aspetto, forma, colore...siamo una foresta di alberi.
Come mi racconta il libro di Jean Giono, il regalo inatteso e illuminante della danzatrice Marina, "ogni albero è la dimora segreta di mille creature appariscenti o sconosciute, sorprendenti o sfuggenti, in quella rete fittissima di rapporti che forma le fondamenta e la vitalità stessa dell'equilibrio biologico...ogni albero sprigiona..suoni...colori...profumi sconosciuti...e anche dopo la morte, i rami caduti, i tronchi in disfacimento e i ceppi...offrono asilo e nutrimento alla più varia, ricca e preziosa comunità vivente..."
Tornati alla nostra quotidianità, ossigenati dal "vento nuovo" noi uomini-albero ci piantiamo nel nostro quotidiano e offriamo riparo al sole cocente.
Siamo una foresta di uomini liberi.

Collevecchio, 7 marzo 2009, L'Era della debolezza

1 marzo 2009

Amore

Tutto fumo, nessuna notizia.
Solo ombre gettate per confondere.
La nostra vita è consumata dentro una "gag" che non porta da nessuna parte.
La parola è sotto sequestro e non appartiene più alla comunità.

La falsificazione è un gioco da prestigiatori e con un giro di mani sparisce il senso del vivere, ma spariscono anche le fabbriche e le scuole, i progetti e la salute mentale.
Ci siamo ammalati: dolore e paura, orrore e cinismo.

La cura: dov'è?

Il contatto con persone che hanno lavorato per anni in paesi devastati da guerre civili, fame, povertà mi ha aperto una ferita consapevole al centro del cuore: non sempre le comunità si riprendono dalla devastazione.
Non sempre, una o due generazioni sono sufficienti per ricominciare a ricostruire dalla smembramento del corpo sociale.
Restano i piccoli e i giovani esposti alla solitudine e al degrado, così come da noi sono ridotti alla mercé della violenza sul corpo, dell'alcol, del vuoto interiore.

Io voglio vivere e amare, altrimenti muoio prima del tempo: è contro la natura genitoriale non seminare qualche traccia di creatività per i figli, per le prossime generazioni.
Non posso tenermi l'amore che ho nel mio focolare, solo per me stessa: l'ora è urgente e richiede il massimo dell'investimento per il futuro di altri.
Per questo, anni fa, ho cominciato a scrivere, solo per vivere, per proseguire un dialogo con l'altro e lanciare un suono nella notte, un'eco che è richiesta di aiuto.

L'amore è pazzo e fluido, l'ho già scritto, vuole infiltrasi dovunque, scivolare in ogni interstizio, espandersi perché è movimento e energia di vita.

Ora, dove posso amare? Se tutto si è contratto, rattrappito, rinsecchito dentro un'angoscia profonda che inghiotte l'attesa, la speranza, la leggerezza?

Il luogo dove amare esiste e sto per incontrarlo: decine e decine di occhi accarezzeranno tra qualche giorno i miei lineamenti sfatti dalla fatica e dalle cure.
Occhi che vengono incontro per ridere, per commuoversi, per esprimere la profondità del loro sentire.
L'incontro con gli altri è il grande regalo della scrittura: queste parole sarebbero state un gioco inutile, uno sfogo nevrotico, una ricerca estenuante e frigida se non avessero portato ai volti di carne, all'amore conviviale.

Fede per me non è altro che questo: resurrezione dalla morte, una attesa corale che nella vita di tutti si rotoli via la pietra, si illumini l'interno di un sarcofago, esploda la vita.
Non c'è altro che io possa fare allora che amare, anche questa storia nostra piena di rughe e gretezza, anche questo paese che non è altro che paralisi e cecità.
Abbraccio la mia terra, l'abbraccio come un figlio morente di overdose: non si recrimina più di fronte a un moribondo, lo si stringe al petto e lo si accompagna.

Lascio che le parole vadano via, piene o vuote, insignificanti o intense, amare o consolatorie, vere o false e rimanga una sola unica parola a squarciare la pietra:
"Alzati , vieni fuori, cammina"!

Tu, Oscurità,- da te provengo -
amo te più che la fiamma
che dà confine al mondo.
risplendendo
per qualcosa che somiglia a un cerchio-
e là nell'oltre, non v'è alcuno che sappia ciò che sia.
Ma l'Oscurità trattiene insieme tutte le cose,
figure e fiamme, viventi in me, come li abbranca,
uomini e potenze-
e può esistere: una forza grande
si agita vicino a me.

Ho fede nelle notti.

(Rilke, Il libro d'ore, a cura di L. Gobbi)