27 marzo 2008

Mio padre

Abbiamo avuto sempre punti di vista lontani.
E' come se ci fossimo osservati per anni con l'aiuto di un binocolo, inviandoci attraverso la lente saluti e abbracci e sorrisi, eppure separati su due piattaforme alla deriva...ma il pianeta è piccolo e prima o poi le terre si ricongiungono, i confini si toccano.
Per anni le discussioni sono state continue, sempre con rispetto ma con evidente difficoltà a trovare un' idea comune di vita, di politica, di ideali, di fede.
Tuttavia la sua nobiltà è palese a chiunque: operaio e poi artigiano piccolo imprenditore, amareggiato dallo Stato e dalle tasse e dai ladri, cronicamente cinico e aspro con le parole è in verità gentile e onesto e generoso dietro la maschera di latta.
Sconfitto come molti della sua generazione che hanno lavorato duro e creduto nel potenziamento dei beni economici per pagarsi il riscatto dalla povertà del passato e per assumerlo come panacea a tutti i mali dell'anima, non è riuscito a preservarsi dal dolore che lo ha travolto senza guardarlo in faccia quando la vita famigliare e quella dei figli idealizzata in un quadrato semplice si è rivelata piuttosto sghimbescia, con varie facce e angoli ottusi.
Ha conosciuto lunghi anni di sfide. E di coraggio. Incurante della gamba e del fianco addolorato da una postura viziata dalla poliomelite che lo ha colpito nell'infanzia, si è munito di carte stradali e soldi sparsi franco-svizzeri, sterline, per attraversare l'Europa e la Manica in auto, raggiungerci in Inghilterra e imparare una nuova cultura. Di ogni singola parola chiedeva una traduzione e la annotava su un quaderno: poi si imbestialiva perchè non riusciva a ricordare un accidente. Per sfida si comprò un corso di lingua inglese e per un anno ha afflitto se stesso per non essere capace a memorizzare un termine anglofono. Si è sempre relazionato con grande rispetto con chi lo accoglieva in casa, tra cani e gatti e igiene molto "british", deglutando lunghi e insapori caffè all'americana senza commenti: lui, grande cultore del caffè in vetro, ristretto con acqua calda a parte, del bar italiano.
Il giorno in cui mi è stato diagnosticato il cancro si è irrigidito in un silenzio rabbioso: l'ho capito perchè tornava a casa con sotto braccio "Libero" per dirmi quanto avessero ragione loro a odiare e con discorsi contro le illusioni cristiane di un Dio buono. Per me lettrice del Manifesto, credente e polemica, è stata una prova del fuoco: camminare sui carboni ardenti della sua rabbia e delle sue paure e non farmi fregare dalle sue emozioni. A tenere banco era il suo essere stato tradito dalla vita, sebbene uomo giusto. Valeva la pena essere giusti? E' stato l'urlo di Giobbe.
Mio padre non ha detto le parole che si ci aspettava da lui. Ma non è stato necessario. Ho apprezzato il suo silenzio.
Non ha mai pronunciato quella frase irritante che ho sentito dire da molti riguardo la malattia: ognuno ha il destino che si è cercato. Da ateo qual'è non ha sposato le teorie delle filosofie esoteriche per cui la malattia ce la procuriamo da soli, con le nostre rabbie e le nostre tristezze: aveva solo due anni quando la polio lo ha ferito per sempre e io quaranta quando il cancro ha cominciato a ballarmi dentro. Avrà visto in entrambi casi il volto dell'uomo sventurato che per quanto felice non può arrestare nè la vecchiaia nè la morte. E per quanto infelice, può imparare a benedire.
Mio padre non mi ha mai fatto sentire in colpa per la mia malattia pur conoscendo la mia storia travagliata che ha in qualche modo affaticato la mia psiche. Ha taciuto di fronte al mistero del mio percorso.
Pur essendo padre, non ha mai pronunciato quelle parole che suonano così sgraziate, commenti consolatori di chi ti rassicura che c'è di peggio nella vita, che esistono situazioni più dolorose, (osservazioni che solo l'interessato avrebbe l'autorità di pronunciare) o considerazioni emotive e autoreferenziali che annunciano quanto della tua sofferenza è condivisa, sentita propria, pari alla loro: si toglie così al malato la specificità del suo soffrire, ridimensionandone la "passione", con la pretesa di sollevarlo dalla difficoltà.
Mio padre è umile- nella sua superba lotta contro Dio- si è messo alla scuola del mio dolore, lo ha osservato e condiviso senza mai riportare il discorso su di sé, sul suo strazio di padre. E' stato un confronto tra adulti e mi ha permesso di essergli maestra nella resistenza. Ha permesso che la mia malattia gli parlasse e lo rafforzasse nella tempra. In silenzio.
Non ha mai creduto che la mia volontà a tenerlo fuori dagli appuntamenti ospedalieri, dal logorio delle sedute e delle terapie, fosse un tentativo per proteggerlo o per dimostrare eroismo: ha al contrario accettato il mio normalizzare le giornate e non dare enfasi agli aspetti più mortificanti delle cure, come unica via per non perdere di vista il gusto del quotidiano, il suo sapore buono che la chemio poteva contaminare. Non si è mai imposto, nel periodo della debolezza, per esercitare il suo potere o controllo di padre: mi ha riconosciuto come individuo divenuto adulto chiamato ad affrontare le sfide della vita. Ha capito che persino la morte era affar mio.
Da oggi, ho iniziato le sedute per la radioterapia e a casa c'e bisogno di qualcuno che si occupi delle ragazze a scuola e di farle mangiare, considerando che mia madre è fuori gioco per questioni di salute e appuntamenti ospedalieri. Come sempre, mio padre ha preso l'auto, il pranzo e la cena nei contenitori e si è presentato alle sette di mattina per darmi il cambio e il tempo necessario per attraversare il raccordo e arrivare a Roma.
Ha preparato la colazione, portato le ragazze a scuola, fatto la spesa, passato l'aspirapolvere per tutta casa, stirato un bel pò di bucato, lavato e steso dell'altro, organizzato la lavastoviglie, prelevato le ragazze, preparato la merenda e ripresa la strada di casa. Tra qualche giorno, questo sarà il suo programma giornaliero per tutto il mese in arrivo.
Mio padre ha settantuno anni, una gamba non affidabile, una stanchezza cronica nell'anima.
Sono sicura che il buon Dio, nei giardini dell'eterno, gli farà parlare perfettamente l'inglese e lo farà correre come un ragazzo dietro un pallone.

6 Comments:

Blogger dario said...

Mah... mi piacerebbe essere come tuo padre. Di carattere lo sono, un po' chiuso e scontroso, ma dentro... dentro mi piacerebbe essere come lui.

Scusa una cosa che non ho capito e che non so se potro' mai capire: com'e' che ti fai una colpa del cancro? Voglio dire, io spero di non capitarci dentro mai, ma se dovesse succedere credo che darei la colpa a tutti e tutto, fuorche' me stesso!

28/3/08 08:06  
Anonymous Anonimo said...

Ecco da chi hai ereditato il cuore :-D

Credo fermamente che il bene che ha fatto non andrà perduto.
E' una ricchezza che oltre.

Ti lascio un sorriso, credo sia la migliore compagnia che posso darti per i giorni che ti accingi a passare.

28/3/08 13:00  
Anonymous Anonimo said...

Cara,
ho sempre creduto che tuo padre fosse una persona generosa e nobile d'animo, tenace e devoto alla famiglia e al lavoro, ma non avrei mai pensato che potesse essere capace di arrivare a tanto (mi riferisco al fatto di accudire in tutto e per tutto le ragazze e di svolgere anche le faccende domestiche come STIRARE). Questo dimostra che volere è potere e che tutti, se vogliono, possono cambiare e a qualsiasi età. Tutto ciò è meraviglioso, lui è meraviglioso.
Monica

28/3/08 15:17  
Blogger Laura said...

La dolcezza di essere figli e la meraviglia di essere genitori che, quando riescono ad essere in sincronia, sono una meraviglia dell'amore.
La vita ci offende, ci fa soffrire ma ci dimostra sempre che il calore del cuore è ciò che dà senso a tutto.
Ti abbraccio, Laura

31/3/08 08:45  
Anonymous Anonimo said...

Leggere questo post mi ha fatto piangere. La mia mente è corsa a mio padre, quante cose non gli ho saputo perdonare.....e capire...una volta credevo alla sopravvivenza dell'anima, ora non so più, nè so se mi conviene crederci o sperare, ho un certo equilibrio nella mia serena disperazione, ma il rimpianto c'è, di non aver fatto in tempo a capire, e anche la rabbia di non averne avuta l'opportunità, per averlo perso quando ero ancora troppo giovane per imparare l'umiltà di saper scendere dalla cattedra...grazie per la tua generosità di condividere questa commozione
Miryam

31/3/08 17:11  
Blogger nonnatuttua said...

...grazie per la tua generosità di condividere questa commozione....

Sono le parole giuste, non ne aggiungo altre.

Fausta

8/4/08 17:14  

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