4 novembre 2007

...come Giovanna, le altre

La notizia di questi giorni non è che un rumeno sia un assassino ma che una donna, l'ennesima, sia stata martirizzata.
Poche ore dopo, un' altra giovane vita di donna veniva risucchiata dalla bestia, a Perugia.
Non è che gli stranieri portano orrori nelle nostre case ma è l'orrore che si incarna nella mente ferita, lì dove baracche di cartone e immondizie trasformano un uomo in uno scarafaggio.
Tuttavia la storia ci insegna che neppure una villetta lustra e ben arredata della Lombardia può preservarci dalla follia, nè il mare intenso e la tavola buona, nobilitare sempre la Sicilia.
Questo male che ci mangia il cuore lo chiamiamo extracomunitario, vorremmo che fosse extra da noi; eppure di lì a poco uno di noi, proprio a Roma, sparava sulla folla: come fanno i ragazzi americani quando riversano sui Campus la loro ferocia, come gli islamici nelle piazze pubbliche.
L'orrore ci appartiene, è l'inesorabile abisso in cui può finire la coscienza di un uomo.
Ha attraversato popoli, ha divorato generazioni: Cambogia, Cile, Bosnia, Rwanda...la lista è interminabile: che sia la guerra personale o collettiva contro l'altro gli effetti sono la "deflagrazione "dell'essere.
Allora sono lenitive, curative, le parole espresse dalla famiglia valdese che parlano di tolleranza e amore.
Come si può guarire dalla ferita lacerante del male subito e del male compiuto?
Il processo di guarigione riguarda tutti, anche noi che assistiamo impotenti, che siamo umiliati dall' essere spettatori non solo dall'efferatezza ma anche dall' incapacità politica a trovare risposte.
La politica non basta, non ha strumenti sufficienti, non riesce a perdere di vista il proprio ombelico. La religione ha fallito nel tentativo di salvarsi il tempio e le casse: talvolta è stata ed è protagonista della deflagrazione.
Resta la fede, nell'uomo e nella sua capacità di guarigione.
Con grande commozione, ho condiviso la tavola e la lettura del libro del medico psichiatra italo-americano Richard Mollica di passaggio in Italia.
Nel suo testo "Healing invisible wounds", racconta come ha lavorato per decenni, girando e condividendo il dolore di comunità lacerate e come sia stata possibile trovare un sentiero di speranza e recupero in un mondo violento. Mollica ci dice che possiamo fare di più che sopravvivere, che siamo in grado di trovare la forza e la guarigione a dispetto del trauma che abbiamo subito.
La famiglia valdese di Giovanna ha iniziato il processo di "healing" proprio a partire dal contatto con la realtà, non gettandosi in una reazione emotiva e altrettanto sanguinaria ma recuperando la migliore parte dell'uomo, capace di continuare a fare appello alla sua coscienza più evoluta.
" When our morals and values are shattered by violence, strong beliefs can halt our decline into disillusionment, anger and despair. This phenomenon is epitomized by Nelson Mandela...he sought reconciliation instead of revenge...
When self-healing expresses itself through spiritual actions, thoughts and emotions do not run wild...
Participation in spiritual pratices requires the discipline to control one's feelings and the commitment to make sense out of them..." (Richard Mollica, ed. Harcourt).
Fare appello alle risorse spirituali, quindi, che non vuol dire religiose, ma un alto senso dell'umano scritto dentro di noi da recuperare ogni volta che l'orrore ci riporta ai primordi delle nostre paure.
Quanto suonano violente e regressive allora le parole che istigano alla vendetta e alle deportazioni in massa del "nemico"...da quei sentieri non si va da nessuna parte, anzi da una parte si va di certo: quella del carnefice!
Scegliamo di non tradire le vittime: scegliamo la vita che è stata divelta, proseguiamo e portiamo a compimento la strada sottratta all'innocente.