Grigio d'attesa
Qualche giorno di fatica lo devo pure bestemmiare: scrivere è anche restituire a me stessa le varie sfaccettature della mia anima sfilacciata; non è che tutti i giorni siano amore e illuminazione! No, tante sono le ore di andamento lento se non piatto e piagnucoloso dove non ho neppure la forza di fare la spesa, prendere le figlie a scuola, occuparmi della tinta sul grigio invadente, comprarmi qualche maglia nuova che non sia nera...giorni in cui non riesco a starmi dietro!!!
Dicono che è il cocktail di decapeptyl e tamoxifene a picchiare le ossa che infatti si rifiutano di buttarsi giù dal letto e sorreggere tutta la carrozzeria; ci si mette anche il cervello con il suo peso di idee melanconiche ad atterrare ogni tentativo di elevazione.
I pensieri sono un pò inquieti in questi giorni e volano spesso in Lombardia, da Anna, l'amica che ho incontrato nell'associazione di Attive e con la quale ho speso ore a discutere, nella sua smart trendy, di politica, religione e moda, in direzione Milano, per vivere giornate piene di incontri e parole buone presso l'associazione.
Eravamo la leghista e quella dei centri sociali, la ricca borghese dal tacco di gucci e la sbracata in jeans di seconda mano. Lei a difendere Briatore, io a smontare la razza dei lumbard per chilometri; arrivavano poi le vacanze, lei partiva per le Mauritius e io per la Sabina. Avremmo potuto non sceglierci e non dirci nulla, non rivolgerci neppure un saluto di cortesia; abbiamo preferito superare la cortina di ferro delle idee e entrare nel cuore dell'altra, unite da un unico destino: la consapevolezza di vivere un tempo supplementare. Le sopravvissute...
Si è parlato di cancro, il primo giorno, poi solo di libri e vita.
Lei è rimasta delle sue idee e io delle mie ma siamo amiche e quando ci parliamo ognuna di noi smette i propri abiti e aspetta. Io indosso i suoi tacchi vertiginosi e cerco di incontrarla lì dove lei abita, tra i suoi pensieri e i suoi sogni. Anna ha un cuore grande: un giorno è venuta a trovarmi e mi ha consegnato una busta traboccante di camicie e completi, roba fina, che il cortisone aveva ristretto di due misure! Quelle camicie mi fanno così "milanese" ma hanno la bellezza del ricordo di una persona che non ha avuto paura di voler bene.
Ora è in sala operatoria: ha un tumore al cervello.
Tutto il resto è attesa: diagnosi, conseguenze dell'operazione, cure.
Io sono qui che mi interrogo...vorrei approfittare di questo nuovo dolore per imparare a vivere.
Invece ho passato ore di latente isteria, insofferente alle inezie, all'inutile ...dovrei dire, adesso, che vale tutto questo?
Guardo le figlie, bellissime, e non capisco perchè mi fanno perdere la calma ogni attimo che sembro una gorgone impazzita... sfrecciano come folletti e io non reggo la loro energia, il mio corpo non regge altra gravità, pesa già tanto da solo...i pensieri rincorrono quella bimba di tredici anni e sua madre con le metastasi (in associazione ne incontriamo tante)...non posso non guardare le mie figlie e non pensare a questa madre, ad Anna, anche lei madre, e all'amore che deve imparare ad andare e a lasciar andare...
Credo che la paura sia venuta a trovarmi.
Ho aperto la porta ma è entrata anche la rabbia e l'angoscia e tutte quelle figlie spettrali che si porta dietro.
Ora devo sedermi con calma ai piedi della luna: la sera porta il silenzio nella casa, le ragazze dormono, nessuno chiede altro. Non resta che respirare profondamente e chiedere alla fiducia di venirmi a fare compagnia e una preghiera al Dio muto per dirgli: "portami in braccio tu per un pò, perchè i piedi mi fanno male!".
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