16 settembre 2007

Sfibramento

L'inquinamento acustico fa di per sé i suoi danni ma associato a quello mediatico diventa uno strumento di tortura adatto per un Camp Site 2 Cambogiano.
Le parole sono ormai in svendita nell'ipermercato della comunicazione e cominciano a sapere di niente come i pomodori del discount; popolano il nostro quotidiano, arrivano a quintali e occupano file e file del nostro cervello tanto che non sai più riconoscere la parola autentica e portatrice di un messaggio innovativo dalle parole di fabbrica, tossiche come le barbie cinesi, dette e scritte in serie, elencate e esposte su ogni pagina pubblica.
Allora io mi stanco, mi stanco tanto da non volermi alzare la mattina a leggere i giornali e preferirei restare a letto sintonizzata sulla musica classica che mi solleva dal vuoto esistenziale di questo secolo e mi porta in campi sonori mai triti e insulsi. Eppure il mondo è anche lì raccontato dai giornali e dalle news televisive e richiama all'attenzione seppure nauseata: sfido ogni giorno la tentazione solipsistica della ritirata!
L'inquinamento delle ultime ore riguarda Grillo: a forza di parlarne, smontarlo, analizzarne il dna, riusciranno a rendere il messaggio di quell'evento un polpettone insopportabile come la musica pop sparata tutta l'estate sulle radio. Finora il mondo dei blogger era vitale perchè sotterraneo ma se dovesse diventare appariscente come il nudo delle veline allora lo rinnegherò. Il cambiamento vorrei vederlo operare non sul personaggio di turno su cui girare la telecamere ma nel profondo delle coscienze. Se Grillo diventa un guru o un Bossi del centro, ogni idea di contestazione verrà consegnata all'ideologia e l'ideologia è pane per gli oligarchi e veleno per la plebe.
Dei lavavetri non parla più nessuno invece, perchè i poveri disturbano la quiete delle nostre coscienze zozze: là dove c'è polvere, si sa, è bene non sollevarla. Allora, dove sono nascosti questi sacchi di carne senza storia? Nelle fosse immaginarie dei nostri mondi puliti e democratici?
Purtroppo, dobbiamo occuparci della cospicua dote di Luciano Pavarotti la cui morte è sì una perdita ma lo è anche questo frastuono sulla sua dipartita, una perdita: della serietà dell'informazione. Quando morì Diana, provai lo stesso disagio: a chi serviva la spettacolarizzazione della sua morte? Quanti ci hanno guadagnato tra libri, foto, tazze, canovacci, spillette, cartoline ecc.? L'industria necrofila fa affari d'oro con la morte -meglio se violenta- dei Vip. E le tirature dei giornali non si contano in quei giorni di dolore mediatico.
Sì, dolore indotto da altri.
La stampa decide di che dolore dobbiamo soffrire e allora eccoci a fare la fila per ore, giorni, davanti alla bara del mito di turno, eccoci a pensare a Pavarotti come il vicino di casa tanto caro e a cui rivolgevamo le attenzioni. Le lacrime versate sulla tomba dell'eroe in tempi di dubbio eroismo fanno pensare ad un bisogno collettivo di catarsi dalla nevrosi.
Spiacente Luciano, non è per lei che consumiano le furtive lacrime ma per noi stessi ridotti a cembali vuoti, a casse di risonanza di qualunque vibrazione.
Al contrario, il suo funerale mi ha indignato. Ero rimasta ferma al caso Welby, non mi ero più aggiornata sul progresso della Santa Sede in termini di sacramenti. Pavarotti era divorziato e risposato per ragioni sue e nessuno di noi ha voglia o interesse a farne oggetto di discussioni. C'era un vescovo a presenziare la messa e il dolore della Santa Sede è stato espresso pubblicamente per la perdita di un personaggio di simile elevatura. Benedizione e eucarestia nel giorno del dolore mediatico per Santa Sede e friends: nella modesta vita di Paola, donna divorziata e non per volontà sua e risposata, invece, non c'è stato posto per una assoluzione durante una confessione sacramentale. Così Rosalba, con due figlie, sposata civilmente ad un divorziato: è stata negato alle neonate il Battesimo ufficiato dal Papa. Solo famiglie immacolate come l'abito del Re!
Tempi dure per le parole che allora parlano di Amore. Joseph dalle Bianche Mani dice che l'amore è più forte della morte, la Carità e la Misericordia sono i valori che dobbiamo crescere nelle nostre coscienze di seguaci di Cristo. Ma la parola "amore", sulle sue labbra, ha il sapore del fritto di un Mcdonald: si vende con l'immaginetta, è dentro le patatine con Shrek! Parole come carità, povertà, obbedienza non trovano più la loro collocazione in un mondo che le ha tradite, smembrate, ricucite e incollate su altre visioni di cristianesimo e uomo. Non dimenticherò mai il funerale di Woityla, con Joseph dal Mantello Rosso e gli uomini delle guerre, gli affaristi seduti di fronte a piangere un dolore che non avevano. Quella è la parola autentica che viene detta e incensata dagli altari: il potere ha bisogno dei suoi sacerdoti. Ma l'amore, quello vero, cantato dai poeti e dai bambini, dove è andato a nascondersi?
Pare che non parli più a nessuno. Neppure a Teresa, la santa, Teresa la donna dei miseri che a Calcutta ha curato e amato. Il teologo specializzato in Dio direbbe che si è nascosto perchè la creatura va messa alla prova, lubrificata fino allo spasimo per poter entrare in quella famosa cruna in cui non entreranno, grazie a Dio, neppure tanti teologi.
Di Teresa si è già scritto. La sua privatissima dichiarazione, venduta subito al mercato delle cianfrusaglie mistiche, annuncia il vuoto e il deserto: l'Assenza. Anni di servizio ai poveri da un lato, e aridità, stato d'animo svuotato dall'altro.
La parola di Teresa mi ha colpito fino al dispiacere: ho letto nella sua consapevolezza di solitudine, il dramma di una cattiva educazione cristiana. Teresa era un donna eccezionale sul fronte della solidarietà e condivisione con i disperati ma veniva da una educazione che si nutriva di tutto un bagaglio linguistico e cognitivo legato alla mistica medievale, alla Controriforma, ai testi distorti teresiani, a quel mondo principesco dove Dio è il Re e l'uomo il servo, in un rapporto cavalleresco tra il signore e il vassallo. Il signore fa quello che vuole del suo servo; può anche non ripagarlo per i suoi servigi o non farlo oggetto di nessuna attenzione. La Teresa francese diceva: essere un balocco nelle mani di Gesù Bambino.
Molto romantico, molto appassionato: un linguaggio, tuttavia, che non può prescindere dal terreno in cui si è formato, dalla persona che lo utilizza. Non dice niente della verità di Dio, dice solo della nostra difficoltà a esprimere una presenza o assenza avvertita.
Forse Teresa ha aspettato qualcosa che non poteva arrivare e ha creduto in qualcuno che non aveva quei caratteri somatici raccontati dai libri e dai padri spirituali. Si sono affrettati subito gli specialisti di Dio a dire che i santi vivono la notte oscura come ulteriore espressione di unione al Cristo crocifisso. Su di lei non si dice spesso della posizione discutibile di fronte alla sofferenza, idolatrata persino, e di fronte ai ricchi e famosi che si affrettavano a depositare il sostegno presso i suoi istituti. Una santità e una bellezza consegnata troppo presto alla macchina della gloria mediatica, tanto da trasformarla in qualcosa di non-umano: una donna che viveva questo tempo di carne già proiettata nell'immortalità del mito.
Doveva sembrargli poca cosa il giorno allora, macerato tra la donazione di sè e le preghiere, se poi il divino non ci lasciava nessuna traccia.
Perchè Dio non risponde all'uomo giusto?
Mi viene il dubbio su Dio e tutto quel magma di concetti e idee che ci portiamo dietro da millenni. L'unico aspetto reale di tutto il racconto è proprio il dubbio.
Riuscire ad avere amato l'uomo ed esserne assunta la pena è la parola vera di Teresa: nell'atto ha dato vita, incarnazione, al Cristo che non le parlava perchè ne era lei la carne viva nel mondo.
Per il resto è silenzio.
Forse nella parola non detta, dovremmo nasconderci per riprendere il senso delle cose.
Sento sempre il fascino di andarla a cercare: pietra preziosa tra i "cocci aguzzi" del giorno.