13 marzo 2006

la mia casa

Il mio concetto di casa si muove tra due estremi: una casa-eremo immersa tra il fogliame di alberi secolari, colline, piccoli accenni di rilievi, silenzio e immersione maliconica e dolce nel quotidiano.
Altrimenti una casa-eremo immersa tra il formicolare di uomini e donne, vociare di vita tra l'andare e il venire, movimento, intensita', anonimato. Ecco l'anonimato viene ad essere l'elemento comune tra i due estremi, anonimato dentro l'ascolto di se' e degli altri.
Quello che invece non mi corrisponde e' l'abitare in luoghi da "ripuliti" banali e ordinati, sufficientemente brutti e privati della natura da non evocare nessuna poesia, scialbi nello spazio che contiene il minimo numero, per non confondersi con la massa antiestetica. Una vera finzione, una pretesa di bello che invece li rende sciatti; ne' la natura ne' gli esseri umani allietano questo spazio provinciale e claustrofobico. Ci sono giorni in cui mi sogno i campi senza confine di certi profili toscani (maledetta Toscana che ci educa al bello per poi chiudere il paradiso ai piu')oppure l'abbraccio sporco e unstylish di Roma, sbragata e vitale, signora di tutte le citta'.
Invece mi ritrovo per svista e obblighi lavorativi a vivere dove non vorrei neppure essere seppellita, la cupa e acida provincia lombarda! Tuttavia quanti poveri o ricchi disgraziati possono dire: io ho scelto dove vivere!
Il cancro mi ha insegnato anche questo: le cose avvengono, l'imprevisto si impone, andiamo sovente nella direzione non voluta, scegliamo cio' che ci contraddice, la trama e' spesso scritta da altri, siamo vincolati da legami e condizioni. Dunque dove e' lo spazio libero, dove riprendere il filo spezzato dei sogni?
Ho allora cominciato un trasloco altrove, verso la mia interiorita', un transito verso le soglie di una nuova casa, di un nuovo spazio: il mio se'.
Qui ci sono campi infiniti, alberi secolari e volti di migliaia di amici e incontri.
Qui vivo da anni e coltivo l'orto; le erbacce sono robuste, ho deciso di lasciarle la'. Fanno colore. Gente va e viene e siede a tavola con me e sono carezze, risate, lacrime comuni. La mia casa del se' ha un arredamento sobrio, minimalista e la luce dell'alba e' sempre accesa. Quando si spopola di amici e figli, rimango sola alla soglia e attendo l'arrivo di qualcosa...
Questa e' la casa dell'esiliato, di chi ha posto le sue radici nel transitorio.
Di chi ha scelto di guardare dentro e non piu' indietro.
Se mi cercate mi troverete li'...

Dall'immagine tesa
vigilo l'istante
con imminenza di attesa
e non aspetto nessuno...
Fra quattro mura
stupefatte di spazio
piu' che un deserto
non aspetto nessuno...
Ma deve venire,
verra' se resisto
a sbocciare non visto.
Verra' d'improvviso
quando meno l'avverto...
Verra' come ristoro
delle mie e sue pene,
verra', forse gia' viene
il suo bisbiglio (Rebora)