Ai piedi di Pienza, nella Pieve di Corsignano, ho lasciato una candela accesa: pietra e silenzio, una preghiera che brucia. Ho chiesto tregua.
Solo essenzialità e perfezione, solo alberi e fruscio di ali: nel luogo dell'armonia dove l'uomo ha sposato il cosmo e il divino non si può che lodare, abbracciare, amare.
Torna la meraviglia a fare da ospite nel cuore logoro.
Dalle mura di Pienza, la città dell'Utopia come l'ha sognata il colto e raffinato Piccolomini, si apre una valle mozzafiato, perfetta per un quadro di un Da Vinci.
Nella creazione si è compiuto l'inimmaginabile e non c'è altro da aggiungere al creato.
La bellezza "è".
Come anche la devastazione e la disarmonia, mentre la terra ci scuote e uccide e sbriciola.
Mi passa un pensiero, un guizzo che forse è difficile afferrare e tradurlo in parola ma è come se nell'istante vedessi l'errore, la sbavatura, l'incomprensibile.
Sono partita da una valutazione sbagliata.
Parto sempre da un punto di vista
claustrofobico quando poso lo sguardo sui fatti pubblici, osservo il mio paese e le sue deliranti peregrinazioni intorno al
niente accogliendo come verità - e quando mai una prospettiva è assoluta - che tutto il discorso umano si compia nella storia e nella sua progressione dei fatti.
E' una chiarificazione che mi viene da Panikkar:
"la storia non ha motivo di essere l'unico orizzonte in cui l'uomo situa le cose!" ( La nuova innocenza).
Credo di afferrarlo questo "lampo rosso" come lui definisce la sua intuizione: c'è caos, dolore frustrazione se guardo alla vicenda umana e storica-politica come una scala in ascesa di eventi evolutivi: dall'impero alla democrazia, dalla mafia alla legalità, dalla dinonestà all'onesta ecc.
Perché se così fosse, sarebbe un andare schizofrenico.
L'evoluzione darwiniana ha confuso le carte: la progressiva elevatura dell'uomo dalla Scimmia al Sapiens e la crescita della sua corteccia cerebrale non definisce proprio nulla sul mistero dell'uomo e del suo cammino.
Ho applicato il processo anche ai fatti, sposando la teoria storica per cui l'umanità progredisce dalla preistoria alla civiltà moderna, dal fuoco tribale alla società tecnologica, dalla caverna alla megalopoli, inteso questo come progresso, nell'illusione che si cresca anche nella giustizia e nei diritti, insieme al cellulare.
Ma forse questo sarà vero per la Scienza ma non per lo Spirito.
Nell'uomo come nel creato ha sempre convissuto la ragione e la follia, la forza e la dolcezza, l'armonia e la brutalità, la vita comunitaria e la minaccia dei più forti e rapaci, la saggezza e l'ignoranza.
Abbiamo definito gli Indios amazzonici involuti e da lì siamo partiti per applicare un idea di uomo e di società che ha portato all'annientamento dei deboli e alla disumanizzazione nell'Olocausto.
Abbiamo confuso il progresso con la crescita delle coscienze.
Così nella società, come per l'uomo, convivono realtà ossimoriche: il bene comunitario e la supremazia del singolo. I molti che lavorano e i pochi che dipendono e sfruttano, l'umano e il trascendente, il tutto e il niente.
Come per la valle davanti ai miei occhi o la bellezza compiuta della città umanistica e la realtà circostante: bene e male, vuoto e pieno, alto e basso, sussistono nello stesso tempo.
E la progressione del tempo come "evoluzione" singola e collettiva sembra non esistere.
Il Tempo "é", tutto insieme, in un attimo nel singolo e nella collettività.
Abbiamo chiamato la conoscenza scientifica la prova dell'evoluzione della Specie e da lì siamo partiti per annientare alberi, animali, uomini per dimostrare a noi stessi il potenziamento della razza umana, il suo essere in "miglioramento". Si può dire questo dopo Hiroshima?
Abbiamo applicato le categorie della Scienza alla Società e alla Comunità, alla Filosofia e alla Storia.
Invece l'uomo sfugge e con lui il senso del suo tempo e del suo spazio...
Sembra esistere solo il tempo presente in cui convivono passato e futuro, lo spazio di ieri e di oggi e di domani, nell'ora e qui: lo confermano i fatti.
L'Italia è il vuoto in cui galleggio ma esiste un paese nel Salernitano, dove il
sindaco Amato, di nome e di fatto, ha costruito insieme ai cittadini campani e agli immigrati una società solidale, senza ronde, senza mafia, senza violenza, dove la città dell'Utopia è possibile.
Accanto ai politici cannibali e ottusi del nostro paese, convivono altrove nel pianeta uomini e donne in grado di portare avanti comunità armoniche con politiche ecosostenibili, equalitarie nel genere e nella cultura.
L'America piena di contraddizioni e segni di morte, ha regalato Obama alla modernità, mentre noi ci regaliamo il leghista Selvini che va a Strasburgo ruttando vomito e razzismo contro i napoletani; eppure gli uomini e le donne italiane che non vanno a Strasburgo e che conosco, non vomitano ma parlano e costruiscono con il pensiero.
La grande civiltà italica produce donne-buco per la protuberanza del suo Presidente mentre in India, l'India ridotta a caricatura dagli ignoranti, porta alla luce una donna stimata e temuta come Sonia Gandhi.
Quando una realtà non avviene sotto i miei occhi non vuol dire che non nasce e vive altrove.
Non vuol dire che tutto debba risolversi ora in un unico punto, in una unica compiutezza.
Dunque il male ci sarà sempre.
Come il bene.
Come "i poveri saranno sempre tra voi", annuncia Cristo ai suoi.
Come i ricchi, sempre inceppati nella cruna di un ago.
Il pieno e il vuoto, il vero e il falso.
Un vagare, il mio, di pensieri e frammenti di un discorso sconosciuto, perché non sono una studiosa ma solo una povera persona ridotta al silenzio di fronte alla Meraviglia e all'Orrore: come procedere nella lettura della realtà per non farsi incastrare dall'Irriducibile Dicotomia?
Non a caso ho intitolato così la mia tesi, in riferimento al poeta Rebora la cui lirica soffriva di tutte le contraddizioni. E' un dramma su cui mi interrogo da oltre vent'anni.
I poeti, se ancora avessero voce, potrebbero dare forma al lampo rosso di Panikkar.
Un vagare dunque, il mio, per portare il cuore alla quiete e all'accoglienza della Realtà così come appare: per ritrovare nell'angoscia la speranza.
L'uomo non è finito, perchè lì dove muore, altrove risorge e con lui l'Utopia; lì dove uccide, altrove salva, lì dove odia altrove ama.
Quando tutto sarà ricapitolato in Cristo, scrive San Paolo, ovvero quando ogni uomo e donna e cosa creata torneranno ad abitare un'unica realtà, ricongiungendosi nel punto iniziale senza più contraddizioni, in una dualismo dissolto in un' Unità che l'avrà trasceso - non ci sarà più ossimoro,
né giudeo né pagano, né uomo né donna tanto per citare ancora Paolo - ovvero ogni categoria di pensiero, ogni realtà politica, comunitaria, storica, ogni dolore e gioia, tutto superato in un altro possibile modo di Essere, ancora non compreso eppure già compiuto in coloro che hanno appunto trasceso l'umano (Buddha o Cristo e ancora altri), quando tutto questo accadrà per tutti, per tutti ci saranno cieli e terre nuove.
E avverrà nel tempo che "è", nell'attimo, come una folgore, nell'intuizione di una luce, di un bagliore, nell'istante della salvezza che avrà una durata senza ritorno...
E quando e il come accadrà, non mi è dato capirlo.
Benché in alcuni ciò già avviene e l'Eterno é già in atto: "il Regno é tra voi".
Esattamente questa è l'Utopia che attendo e per la quale lavoro perché sia in me, si faccia vera non solo nell'unità di alcuni ma nella frammentazione di molti.
La mia preghiera è che Cristo scenda negli inferi ogni istante così che l'Essere e il non-Essere si fondano in un unico cuore di carne, in un amplesso di vero e autentico e eterno Amore.
Dio, l'Uomo e il Creato, tornino a vivere insieme. Si faccia unità.
Si compia questo in noi.
Si compia nell'irriducibile terra italiana, spaccata a morsi dal Divisore.